Una vita in viaggio
I racconti di Riccardo
Quando era un bambino Riccardo aveva un mappamondo a fianco del letto e prima di addormentarsi lo faceva ruotare. Poi lo fermava con un dito, scopriva su quale lembo di terra si fosse fermato e fantasticava su quelle mete esotiche.
Overland nordafricano
Dalla Tunisia a Israele attraverso Libia, Egitto e Giordania su due Enfield Bullet 350
Quando Hatif scuote la testa e con il suo incerto inglese pronuncia “problem biel”, realizzo che il nostro sogno si sta infrangendo. Siamo in un sobborgo del Cairo, con le piramidi che vegliano su di noi e ho appena saputo che la mia biella in quelle condizioni non mi porterà mai al porto di Haifa, in Israele.
Il sogno era iniziato qualche settimana prima nel porto di Genova. E’ il 23 dicembre e il piazzale è stracolmo di high tech da deserto: camion, fuoristrada ed enduro di ultima generazione sono armati fino ai denti per affrontare i temibili deserti libici ed algerini. Ma le prime donne in questo marasma tecnologico sono le nostre primitive Enfield che destano curiosità e simpatia e vengono fotografate a raffica da increduli viaggiatori. Quando il portellone della nave si chiude, tutti i miei dubbi svaniscono nel nulla : attraverseremo Tunisia, Libia, Egitto, Giordania e Israele con i nostri monocilindrici ad aste e bilancieri. Siamo a Tunisi e subito ci troviamo immersi nella colorata e animata medina . I caffè stracolmi di vecchi intenti a fumare saporosi narghilè rendono questa notte di natale assai particolare.
Conosciamo già la Tunisia , la attraverseremo quindi il più velocemente possibile per dedicarci con maggior attenzione alla Libia e alle oasi egiziane.
Le nostre tappe toccano la caotica Sfax e la turistica isola di Djerba; sta finendo il Ramadam ed è un continuo susseguirsi di feste, mercati, sagre e celebrazioni. Le prime centinaia di chilometri servono a testare l’affidabilità dei nostri cilindri revisionati e la nostra tenuta fisica. Tutto sembra procedere per il meglio e anche il clima sembra piuttosto benevolo. Arriviamo a Ben Guerdane , ultima città in Tunisia prima del confine libico. Il cartello “Cairo 2522 Km” ci ricorda che siamo solo all’inizio dell’avventura. Passiamo la dogana tunisina con facilità ma quella libica appare subito più ostica. Decine di fuoristrada e camion sono in attesa da un paio di giorni per il nulla osta per il deserto con il loro carico umano di ogni genere ed estrazione. Ci colpisce un somalo che via internet ha raccolto una decina di ragazzi e che con uno sgangherato camion li vuole portare a Cotonou, in Benin ; ha dei problemi meccanici e chiede a noi alcuni suggerimenti…cose da non credere.
Purtroppo è cambiata la normativa doganale e il visto non è più sufficiente; occorre l’invito originale oppure la presenza del corrispondente libico . Provo in tutte le maniere ad eludere il problema, ma non c’è storia. Siamo distrutti, il viaggio è appena iniziato e siamo già bloccati . Torniamo a Ben Guardane tra una tempesta di sabbia che la rende irreale e dopo varie peripezie telefoniche riesco ad avere il fax con la copia dell’invito. Ma questo non basterà e l’indomani dovremmo aspettare il corrispondente e le interminabili formalità : i timbri sul passaporto, il carnet de passage , l’assicurazione, la targa libica da apporre sulla moto; decine di uffici alla ricerca del funzionario perduto e solo dopo 7 ore si aprono i cancelli della Libia. Si respira subito un’aria diversa, di desolazione, di umili baracche e spogli negozietti ma alla nostra sinistra un mare verde-azzurro e alla nostra destra un deserto incandescente e sconfinato. Arriviamo a Sabratha e subito ci sconvolge l’ospitalità libica con il pasticciere che ci regala dei dolci e tutti i passanti che salutano e ci stringono la mano. Visitiamo le belle rovine romane : il teatro è stupendo con i suoi bassorilievi e i delfini stilizzati, poi le terme, il Campidoglio e l’Agorà. Partiamo per i 70 Km che ci separano da Tripoli, incomincia a piovere e la strada è pericolosissima. Non è facile arrivare in una città di 1.5 milioni di abitanti senza un segnale comprensibile e trovare subito la mitica Green Square . Appena ti fermi sei circondato da qualcuno che ti vuole aiutare. Cerchi Hotel? Qualcuno prende una macchina e ti fa da battistrada fino a destinazione; e non provarti a ricompensarlo. ”Italia-Libia fratelli “ come dicono qua, nonostante lo sterminio subito da noi colonizzatori. Tripoli è molto affascinante, sia la parte moderna con gli edifici di chiaro stampo fascista, che la Tripoli vecchia. Qust’ultima è come un tuffo nel passato con i suoi artigiani multietnici e l’effige di Gheddafi che sovrasta in ogni dove.
Costeggiamo il mare fino a raggiungere il sito romano di Leptis Magna ancora meglio conservato e più affascinate di Sabratha . A Zliten ci fermiamo per visitare la famosa tomba del Marabutto Sidi Abdusalam, meta di pellegrinaggio da tutta la Libia. La moschea se pur moderna è affascinante e illuminata a giorno nella cupa notte libica…..Oggi è l’ultimo dell’anno, ma in Libia non si festeggia . Così vuole il regime.
Capodanno da ricordare : dopo Misrata, lentamente ma inesorabilmente il vento diventa insopportabile. La sabbia mi entra ovunque, il sole è oscurato e il cielo è rosso.Si, siamo in mezzo ad una vera tempesta di sabbia. La visibilità è minima e la guida improbabile; dopo venti chilometri il carburatore è saturo di sabbia e l’eroica Enfield si ferma. Un pick-up ci raccoglie e ci lascia in un piccolo villaggio. Sono le 9 di sera quando in un tugurio con due storpi marocchini che guardano un film horror, decido che il mio anno è giunto al termine e non ha alcun senso aspettare la mezzanotte. Quando ripartiamo la moto è fuori fase ma a Sirt riusciamo a sistemarla. Cointinuiamo a seguire la costa e paradossalmente si fatica a trovare benzina e oggi anche a trovare un tetto dove dormire. Ras Lanuf è infatti una città blindata e per la sua importanza petrolifera interdetta agli stranieri : per farci ospitare in un corpo di guardia devo attingere a tutta la mia fantasia e diplomazia. Poi un tappone di 360 km ci porterà a Bengasi; l’aria è fresca ma precisi raggi di sole illuminano sconfinati deserti in un cielo tersissimo. Arriviamo stremati a destinazione in questa città sospesa tra passato e modernità. Un po’ Napoli un po’ Calcutta, ultima grande città prima del deserto egiziano. Prima però si attraversa la catena montuosa del Jebel Akhdar dove si è catapultati in un altro mondo : il verde domina sovrano , la vegetazione è folta con abeti e piante ad alto fusto. La strada è divertente con continue salite e discese e curve che nel deserto avevo dimenticato. Cambiano anche i caratteri somatici dei libici che ora sembrano quasi di origine orientale. Una notte ad Al -Bayda ed una escursione alle rovine della città greca di Cirene per arrivare al porto di Tobruk e prepararci a lasciare questo meraviglioso paese. Ci vorrà un giorno intero per attraversare la dogana libica e quella egiziana, una pazienza infinita e più soldi del previsto ma alla fine l’urlo di giubilo… siamo in Egitto.
Viaggiare di notte è sconsigliato ma inevitabile; la strada è un pullulare di animali, jeep impazzite e macchie di olio che sembrano voragini. Quando arriviamo a Sidi Barani siamo esausti e mi sembra di essere a Cinecittà in uno stage del far west. Siamo assaliti da una folla di curiosi, si respira aria di oriente, di passato, di misticismo. Mangiamo con 700 lire e già progettiamo la lunga giornata di domani, destinazione Oasi di Siwa, un viaggio nel viaggio. Costeggiamo ancora il mediterraneo, poi ad un tratto la svolta a destra e l’indicazione Siwa 300 km. Adesso non si scherza più, ci aspettano 300 km di deserto vero all’interno dell’ Egitto. La polizia registra il nostro passaggio e siamo davvero soli. L’orizzonte è infinito, giallo, ocra, marrone… mi sento un microbo di fronte a tale immensità e l’angoscia si alterna all’entusiasmo e alla felicità.
Sono un tuttuno con la mia moto. A 20 km dalla meta il paesaggio cambia di colpo e sembra di essere sulla luna : i crateri, la luce grigia, i villaggi abbandonati tra colline sfumate. Poi il miraggio, Siwa appare con le sue migliaia di palme da datteri famosi in tutto il mondo, con i suoi villaggi trogloditi, il gran traffico di carretti trainati da incerti muli e le donne infagottate all’inverosimile dai precetti del Corano… benvenuti nel Medio Evo. Siamo in prossimità del “Grande mare di sabbia”, l’immenso deserto di dune tra Egitto e Libia , uno dei posti più inesplorati del pianeta recita la mia Lonely Planet.
Siwa ci rimane nel cuore con le sue sorgenti calde immerse nei palmeti, i villaggi berberi, i templi e le necropoli, l’eclissi di luna e il tramonto da Fantasy Island.
Lasciarla ci è difficile non solo moralmente ma anche tecnicamente : la pista che la separa dall’oasi di Bahariyya non è praticabile dalle nostre moto. Con enormi difficoltà reperiamo un pick-up, carichiamo le Enfield e partiamo per 380 km di nulla. Non incontriamo segni di vita se non qualche check-point militare e lo scenario è fantastico; si passa da immense dune che invadono la pista a laghi salati che acciecano la vista, a pan di zucchero che sembrano funghi appena spuntati. Le condizioni della pista sono proibitive : il pick-up si insabbia un paio di volte ma la terza sarà quella fatale : 6 ore per percorrere 20 metri. E’ già notte e siamo ancora bloccati. Sono teso ma quando scorgo la luna resa rossa dalla luce del tramonto mentre sale maestosa nel cielo tra migliaia di stelle brillanti penso di essere davvero fortunato. Mi chiedo come faccia l’autista a correre a folle velocità, di notte, su una pista impossibile, con un freddo polare e dopo aver spalato sabbia per un intero pomeriggio… ma questo è l’overland.
A Bahariyya andiamo alla scoperta del deserto nero che affrontiamo in sella alle nostre moto e siamo tentati dall’Oasi di Farafra ma non abbiamo tempo : domani al Cairo abbiamo appuntamento con Daniele e Davide partiti in aereo dall’Italia per venire a trovarci. Altri 400 km di monotono deserto dove capisco che la mia Enfield ha un grosso problema. Come ci dirà poi Hatif : problem biel.
Questo incubo e l’infernale traffico del Cairo sono subito dimenticati dalla gioia di incontrare gli amici con i quali ci tuffiamo per due giorni tra bazar, musei, moschee e piramidi. La mia Enfield riposa ma in queste condizioni non può proseguire il suo cammino. Roccambolescamente incontriamo Hatif che si rivela un gran manico; in 48 ore smonta in mille pezzi il blocco motore con l’ausilio del forno del dirimpettaio fornaio e ricostruisce ex novo la bronzina danneggiata. Noi siamo sempre li a controllare l’operato e ne approfittiamo per socializzare con il vicinato e per vivere gli usi e costumi dell’ egiziano medio. Facciamo delle belle amicizie e quando siamo pronti per partire siamo tutti un po’ emozionati.
La direzione è sempre oriente fino a quando si attraversa il Canale di Suez. E’ emozionante pensare a quello che ha rappresentato anche se l’effetto scenico è piuttosto deludente. Poi direzione sud, ci accingiamo a “circumnavigare” la penisola del Sinai. Villaggi turistici si alternano a canyon dai mille colori; è dura trovare un tetto a Abu Zenima e dopo 220 km di caldo torrido raggiungiamo la snaturata Sharm el-Sheikh. Ci sistemiamo all’ostello e ci prendiamo un paio di giorni di meritato riposo nel meraviglioso parco marino di Ras Mohammed.
Ma la nostra meta principe del Sinai è Dahab, la Goa del Medio Oriente, rifugio internazionale di hippy con le bombole che ben conoscono le origini indiane delle nostre Enfield. Suscitiamo infatti una vivace curiosità e facciamo incontri interessanti tra le spiagge e gli incredibili localini adagiati sul mare.
Tornerò a Dahab con più calma; ora è il momento di lasciare l’Egitto e a Nuweiba ci imbarchiamo e attraverso il golfo di Aqaba raggiungiamo la Giordania.
Il balzo culturale è repentino : rapide formalità doganali, negozi luccicanti e tecnologia occidentale. Ma il fascino è nel passato e così decidiamo di piantare la tenda in mezzo al Wadi Rum così come trovò rifugio ai suoi tempi l’eroico Lawrence d’Arabia, dove la vista è mozzafiato e il senso di libertà impagabile.
Percorriamo poi la King’s Highway tra vallate paradisiache fino alla famosissima Petra. Fortunatamente è bassa stagione e riusciamo a gustarci Al-Khazneh ( Il Tesoro) con una certa tranquillità nonostante la pioggia e il freddo siano implacabili. Il peggio deve ancora venire : la tappa verso il castello di Karak è sicuramente la più dura. Al Dana Nature Reserve si sale di quota e la situazione precipita : il freddo è micidiale, vento laterale a raffiche, visibilità a 10 metri, fiumi di acqua che scendono dalla strada. Sono ore molto difficili e pericolose e siamo spesso costretti a fermarci attorno ad un fuoco per riprendere forza. Arriviamo a destinazione in condizioni pietose e passiamo la notte ad asciugare i nostri indumenti.
Decidiamo che non ha senso proseguire per questa strada e così scendiamo subito tra le caldi e pesanti acque del Mar Morto che costeggiamo per tutto il suo corso. A questo punto l’ idea originaria prevedeva la visita di Gerusalemme ma la situazione socio-politica è tale che le frontiere sono chiuse se non a Sheikh Hussein Bridge, il valico più a nord.
Risaliamo quindi tutto il fiume Giordano con la Cisgiordania sulla sinistra e noi tra decine di villaggi di profughi palestinesi che ci guardano nervosi scambiandoci forse per coloni israeliani. Siamo gli unici ad attraversare la frontiera dell’odio ma la tensione è inferiore a quella che mi aspettavo. Eccoci in Israele che da solo meriterebbe un viaggio a parte…ma l’obiettivo è solo quello di attraversarlo fino ad Haifa dove dovrebbe esserci il traghetto per la Grecia. Dico dovrebbe perché il vero tormentone del viaggio è stato proprio quello della incertezza sulle modalità e sulla fattibilità operativa del ritorno da Israele. Sembra infatti che tutti i collegamenti marittimi siano sospesi per motivi di sicurezza e le alternative possibili sono alquanto fantasiose.
Haifa è una città mostruosa quanto anonima ma quando arriviamo al porto sono troppo felice… l’overland nordafricano è una missione compiuta. Oggi è festa e tutti gli uffici sono chiusi; non riusciamo quindi a verificare l’esistenza della nave ne la disponibilità per due stanche motociclette. Troviamo ospitalità in un ostello e solo l’indomani la grande notizia : la nave partirà ed è vuota.
Visitiamo con entusiasmo l’affascinante Tel Aviv anche se il paese è in assetto da guerra e la tensione è palpabile ovunque e solo quando il portellone del traghetto si chiude mi sento veramente tranquillo.
Ci sono ancora quattro lunghi giorni di viaggio : la sosta a Cipro, l’arrivo ad Atene e la ripartenza da Patrasso. Quattro lunghi giorni per rivivere mentalmente questa fantastica sfida, per scherzare sulle nostre disavventure ma sopratutto per progettare il prossimo overland.