Una vita in viaggio
I racconti di Riccardo
Quando era un bambino Riccardo aveva un mappamondo a fianco del letto e prima di addormentarsi lo faceva ruotare. Poi lo fermava con un dito, scopriva su quale lembo di terra si fosse fermato e fantasticava su quelle mete esotiche.
Across the Africa
Dal Capo di Buona speranza al Mediterraneo attraverso Sud Africa, Botswana, Zambia, Tanzania, Kenya, Etiopia, Sudan ed Egitto
Da qualche giorno ho una febbre altissima che non riesco ad abbassare. Non riesco più a guidare la moto e i miei amici si alternano alla guida del mio vecchio Transalp 600. Sto partecipando alla Missione di MotoforPeace “In Missione nelle missioni”, un raid a scopo umanitario attraverso l’Africa australe. A Francistown mi faccio portare in uno dei migliori ospedali del Botswana. La diagnosi è tanto veloce quanto lapidaria: malaria. La prima domanda che faccio al primario è: “In dicembre voglio attraversare tutta l’Africa in moto, da Cape Town al Cairo, ce la posso fare?”
“Mancano otto mesi Riccardo, curati e non ti preoccupare”.
Gli amici di MotoforPeace concludono il raid e lasciano la mia moto e quella di Davide in un’officina nei sobborghi di Cape Town. La mia speranza è tornare in inverno con Davide e partire per il coast to coast africano, Across the Africa.
Voglio attraversare le grandi savane, le montagne della Rift Valley, il sahel, il deserto sahariano e seguire il Nilo fino al Mediterraneo. Il viaggio più impegnativo, il più stimolante e forse anche quello più pericoloso. È fine estate quando due amici decidono di unirsi all’avventura: Nicolò col suo Defender e Luigi col suo Toyota Land Cruiser. Iniziano le frenetiche attività burocratiche: il carnet de passage, la patente internazionale, la spedizione dei fuoristrada, i visti per Tanzania, Etiopia, Egitto e Sudan. Con un lungo volo raggiungiamo Cape Town dove incontro il meccanico che si è preso cura delle nostre Transalp. È emozionante rivedere la mia “rossa”, in perfetta forma dopo un accurato tagliando. Partiamo alla volta della penisola del Capo e ci facciamo le fotografie di rito al Capo di Buona Speranza.
È per noi un momento molto emozionante e ufficialmente sancisce l’inizio del nostro nuovo sogno su due ruote. Da oggi in poi sempre con la bussola a nord, destinazione il Mediterraneo. Il solo pensiero è di quelli da togliere il fiato, da anni bramo questo momento e finalmente è arrivato. Torniamo nel nostro appartamento di Cape Town dove incontriamo Davide e Nicolò che nel frattempo hanno sdoganato i loro fuoristrada. Domani ci aspetta il primo tappone “dolomitico” di 600 chilometri. Table Mountain è coperta dalle nuvole quando in un traffico convulso lasciamo la metropoli sudafricana; l’autostrada è poco trafficata e i chilometri scorrono veloci. Victoria West sembra un villaggio del far west abbandonato e con difficoltà troviamo quattro birre per accompagnare la cena preparata da Davide. Continuiamo ad attraversare il Sudafrica, paesaggio monotono fino a Vryburg dove nonostante il casco un’ape riesce a beccarmi in faccia e a trasformarmi in un Elephant Man su due ruote. Poi la prima frontiera, quella con il Botswana, la più veloce e tranquilla del viaggio. Attraversiamo l’affollata capitale Gaborone e sostiamo sulla linea immaginaria del Tropico del Capricorno. Dopo Mahalapye la carreggiata si restringe e aumentano gli animali e i baobab e con essi la sensazione di essere davvero in Africa. Si siamo in Africa e la strada peggiora notevolmente, tante buche, fango e pozze d’acqua fino al nostro bungalow di Nata. Siamo ai primi di dicembre, è bassa stagione e siamo gli unici visitatori del Nata Bird Sanctuary. Le piste sono acquitrinose a causa delle recenti piogge e il tramonto incombente rende magico questo paesaggio surreale assieme a gnu, zebre e fenicotteri. Ripartiamo e la strada attraversa un’infinita savana dove iniziano gli incontri con gli elefanti selvatici. Noi e loro, senza alcuna protezione. Che emozione!!! Arriviamo a Kasane, piantiamo le tende e ci rechiamo all’imbarcadero per la crociera sul fiume Chobe dove avvistiamo decine di ippopotami, bufali e coccodrilli. Purtroppo diluvierà tutta la notte e Davide sarà costretto ad abbandonare la propria vecchia tenda. La successiva frontiera è fluviale, attraversiamo il fiume Zambesi per entrare in Zambia. La dogana zambiana si rivela un vero e proprio ginepraio: sette uffici diversi e circa tre ore per sconfiggere la tenace burocrazia africana. A Livingstone incontriamo Franco, motociclista giramondo che ci informa che si può entrare in Egitto solo lasciando un deposito in contanti di varie migliaia di euro. Una notizia choc che potrebbe compromettere il viaggio. Incassiamo il colpo ma oggi ci godiamo le Victoria Falls, le cascate che segnano il confine tra Zambia e Zimbabwe. In questo periodo la portata è ai minimi così possiamo camminare fino al limite del precipizio e fare un bagno sullo strapiombo. È mattina presto quando partiamo, si preannuncia una tappa lunghissima e un caldo opprimente. La strada è trafficata solo da ciclisti con enormi sacchi di carbone su claudicanti biciclette. Attraversare Lusaka è un delirio: traffico assurdo, smog, petulanti venditori ambulanti. Poi la strada è invasa da centinaia di lentissimi camion che ci obbligano a pericolosi sorpassi. Decidiamo di arrivare fino a Kabwe; le ultime due ore di viaggio sono interminabili e sono stremato quando arriviamo nella nostra lurida guest house.Lo Zambia è molto verde, tante le capanne di paglia e tanti i venditori di miele ai bordi delle strade. È la stagione delle piogge e ce ne accorgiamo subito: centinaia di chilometri di pioggia e di freddo, strade sterrate e voragini a complicare la marcia. Giornata molto impegnativa quella ci porta al confine con la Tanzania.
Tanzania? Ma se sembra di essere in India!!! I primi chilometri sono deliranti: migliaia di tuc-tuc impazziti, un formicaio umano, nessuna possibilità di alloggio. Cala la notte e siamo costretti a fermarci in una bettola bordello in attesa di tempi migliori. Che arrivano l’indomani con una luce bellissima e panorami fantastici. Colline verdissime che si susseguono all’infinito, mercati affollati ed etnie dagli abiti coloratissimi. La meta di oggi è Mbeya dove su internet cerchiamo informazioni sull’ingresso in Egitto: questo tarlo sta diventando il tormentone del viaggio. Ripartiamo alla volta di Iringa e in un veloce tratto di strada siamo fermati da un poliziotto che con l’autovelox ci contesta il superamento del limite di velocità. C’è aria di fregatura: il poliziotto vuole dollari in contanti. Inizia una lunga contrattazione che finisce con la consegna di qualche spicciolo e un pacchetto di biscotti. Visitiamo i camini di fata di Isimila e dopo Iringa finalmente un po' di curve dove si può “piegare”; siamo nella Rift Valley con bellissimi tornanti dove io e Davide ci lanciamo a folle velocità. Panorami sconfinati, migliaia di baobab e di manghi, pastori masai con le loro greggi. La Mia Africa.
Poi l’anonima capitale Dodoma, e dopo Kondoa arriviamo ad Arusha, pietra miliare del viaggio. Qualche giorno di relax dove visitiamo i più bei parchi africani: Ngorongoro, il Serengeti, il Lake Manyara. E dove entriamo in contatto telefonico con Kamal, un fixer egiziano che ci garantisce l’ingresso in Egitto a costi ragionevoli. La mia moto incomincia però a darmi problemi, strappa e funziona un solo cilindro. Intanto il maltempo ci colpisce ancora, fradici e stanchi ci fermiamo a Namanga, piccolo villaggio al confine con il Kenya. Altra capitale altro incubo: attraversare Nairobi ci mette veramente a dura prova, ci perdiamo un paio di volte e ci ritroviamo soltanto in periferia. Foto di rito all’Equatore, saliamo fino a 2.600 metri e poi una lunga discesa fino alla caotica Isiolo. Qui scopriamo che la frontiera etiope di Moyale è chiusa per scontri etnici, ci sono morti e incendi. E noi dovremmo attraversarla fra un paio di giorni; questo viaggio sta diventando una gara a ostacoli.
Decidiamo di avvicinarci alla frontiera e cercare informazioni di prima mano. Questi 500 chilometri che ci separano dal confine erano un tempo quelli più pericolosi e desolati dell’intera Africa: strade dissestate e tribù rissose armate fino ai denti. Ora è asfaltata e mediamente più tranquilla. Incrociamo alcuni ciclisti argentini che ci confermano di aver attraversato la frontiera tra sparatorie e cadaveri abbandonati. Dormiamo a Marsabit e proseguiamo tra mandrie di cammelli, piccoli crateri vulcanici e bellissimi pastori samburu. Uno di loro mi chiede un passaggio e lo trasporto per una decina di chilometri, io con la mia tecnologica tuta e lui nudo e con l’ascia di guerra. Due mondi lontani nello stesso sellino della Transalp.
Col cuore in gola arriviamo a Moyale dove ci comunicano che l’esercito etiope ha il pieno controllo della città e la frontiera dovrebbe riaprire fra un paio di giorni.
È la vigilia di Natale quando con non poca apprensione entriamo in Etiopia; la città di frontiera è semi deserta e porta con se le tracce della guerriglia dei giorni precedenti.
A Bule Hora dormiamo in una topaia, dopo il tramonto c’è il coprifuoco, un piatto di injera e subito a letto. Siamo in quota e fa molo freddo, continui i saliscendi dove la mia Transalp arranca penosamente. Non abbiamo tempo per cercare un meccanico, dobbiamo arrivare alla frontiera con il Sudan entro tre giorni, pena la scadenza del visto. La strada è in pessime condizioni, sterrati e buche pazzesche; uomini, motorini e animali che attraversano la strada all’improvviso. I distributori sono senza benzina e i pochi che l’hanno sono presi d’assalto. Quattro ore per fare un centinaio di chilometri con gli etiopi che al nostro passaggio urlano “yuyu”, fischiano, provocano, alcuni tirano sassi. Appena ti fermi sei circondato, ti toccano, ti sfottono. È veramente dura!!! Una sosta al mercato del pesce di Awasa e a Shashamane, enclave rastafariana di seguaci di Bob Marley e pernottiamo a Mojo dove mi fiondo a letto dove, febbricitante, dormirò dodici ore di fila. Un Natale che non dimenticherò.
Evitiamo il centro di Addis Abeba e a nord della capitale siamo già in aperta campagna con saliscendi spettacolari e famiglie che setacciano il grano con metodi arcaici. L’Etiopia, un paese in movimento, tutti che camminano sul ciglio della strada, milioni di scolari di tutte le età con le variegate uniformi. Superiamo un passo a 3.100 metri, tante belle curve con l’asfalto solcato da profondi solchi, come nelle piste da sci di fondo, pericolosissimo.
Dormiamo a Debre Markos e poi a Gondar presa d’assalto da orde di pellegrini infagottati nei tradizionali scialli, mantelli e copricapi. Poi la tappa più rischiosa, quella fino al confine; la zona è militarizzata, i posti di blocco sono continui ma i militari sono gentili e sorridenti. La dogana etiope è tra le più fatiscenti che abbia mai visto: un doganiere in ciabatte e logora canottiera timbra svogliatamente i passaporti e i carnet.
Finalmente siamo in Sudan, un altro sogno che si è avverato. Sono molto emozionato anche se un po’ preoccupato dalle notizie che arrivano da Khartoum. Siamo in piena “rivolta del pane”, manifestazioni e scontri nella capitale, coprifuoco nelle principali città. Occorrono quattro ore per espletare tutte le formalità ma l’ambiente cambia repentinamente. Qui un estraneo non è uno sconosciuto, non c’è ostilità verso gli altri, tutti salutano, sorridono e sono desiderosi di conoscerti. La notte ci coglie all’improvviso e piantiamo le tende in un piccolo ospedale per bambini. I medici ci portano in paese a bere un tè e ci parlano della feroce dittatura che colpisce il loro paese. “Gente meravigliosa. Governo terribile. La storia dell’Africa”. Da casa ci informano dell’attentato terroristico alle piramidi di Giza; ci mancava anche questa!!! Anche in Sudan ci sono grossi problemi di approvvigionamento di carburate ma i sudanesi sono molto gentili e ci evitano le interminabili file. È molto caldo, paesaggio monotono e poca gente in giro. Sosta a Wad Madani e il giorno successivo siamo a Khartoum dove pernottiamo nello storico Acropole Hotel. Passeggiata alla confluenza del Nilo Bianco con il Nilo Azzurro e al souk di Omdurman. L’indomani sono previsti grossi scontri e ci consigliano di lasciare la capitale all’alba. Accettiamo il consiglio, benzina al mercato nero ed eccoci in pieno deserto. Un deserto di sabbia, di un bruno luminoso, spopolato, immenso. Deviazione su una difficile pista per Naqa e a fine giornata siamo alle piramidi di Meroe, resti delle sepolture dei re di Kush. Ci accampiamo sotto una duna e festeggiamo l’ultimo dell’anno con musica e danze locali. Un paio di giorni di relax con visite ai siti archeologici della zona e a polverosi villaggi abbandonati dal tempo. Questo Sudan mi è entrato nel cuore.
Ripartiamo, siamo nella Nubia, “Il luogo dell’Oro”, la culla della cultura egizia; altre piramidi e tanto deserto. Incontri con personaggi straordinari, colorati mercati, le località di Karima e Dongola e gli ultimi 400 chilometri di paesaggi lunari per Wadi Alfa, temuta città di frontiera tra Sudan ed Egitto. In hotel incontriamo Mazar, il fixer sudanese corrispondente di Kamal, senza il loro aiuto attraversare questa frontiera sarebbe impossibile o quasi. Siamo nelle loro mani, inshallah.
Alle 9 siamo alla dogana sudanese, Mazar ritira tutti i documenti e dopo due ore siamo nella terra di nessuno, un cancello chiuso a separarci dall’Egitto. Cambiano i caratteri somatici dei doganieri e sparisce anche la simpatia sudanese. Gli ufficiali sembrano avanzi di galera e ci guardano storto fino a quando arriva Kamal che abbraccia e saluta tutti. Dopo quattro ore ci consegnano le targhe egiziane e siamo in Egitto. Evvai. Altri quaranta chilometri di deserto fino al lago Nasser dove attendiamo il traghetto per Abu Simbel. All’alba visitiamo il famoso sito e dopo colazione si parte. È molto freddo, strada in pieno deserto ma in ottime condizioni. Dopo Aswan scopriamo un Egitto rurale e lontano dal turismo di massa. Attraversiamo il centro di Isna: venditori ambulanti, donne velate, viavai di cammelli, uomini che si tengono per mano, mercati; attraversiamo il Nilo e arriviamo a Luxor.
Oggi si festeggia il capodanno copto e la città è piena di militari armati di tutto punto, si temono attentati e l’aria è molto pesante. Proseguendo a nord i posti di blocco sono sempre più frequenti; dapprima ci lasciano passare poi ci fermano e ci impongono una scorta armata. Una scorta? Proprio così, a staffetta. Ogni cinquanta chilometri la scorta da il cambio alla successiva, siamo davvero importanti. O davvero in pericolo. Raggiungiamo il Mar Rosso e ci fermiamo nella città petrolifera di Ras Gharib. Qui siamo presi in consegna dalla polizia locale che non ci molla per tutta la sera, scortandoci anche al ristorante. L’indomani, dopo un centinaio di chilometri ci lasciano al nostro destino e inizia l’avvicinamento al Cairo. Al cartello “Cairo km 100” inizia il conto alla rovescia e cerco di rimanere concentrato. Il traffico diventa allucinante ma Giza è ormai vicina. Sì, le piramidi di Giza; le vediamo da lontano, poi sempre più vicine e infine ci arriviamo proprio sotto. Sono troppo felice, baci e abbracci ai miei compagni di viaggio. Ancora una volta MISSIONE COMPIUTA.
Ho attraversato l’Africa dall’estremo sud all’estremo nord, con un solo cilindro, tra rivolte e guerriglie.